Legame continuo

      Una delle cose più interessanti che scopriamo nella tomba di Dromichaetes è il simbolo del bue che si trova sul frontespizio della tomba. E’ interessante perché lo ritroviamo anche nel tesoro regale dei Traci di Cucuteni-Iasi, contemporaneamente con la tomba di Dromichaetes. Più tardi, nel Medioevo, il bue diventa per centinaia di anni l’elemento centrale dello stemma della Moldavia e oggi si trova sullo stemma nazionale della Romania.

      Il più importante re tracico è stato Burebista. I Romani occuperanno la parte meridionale del suo regno, ma i Daci a Nord del Danubio attaccheranno in continuazione la parte a Sud fino a quando i Romani arriveranno a pagare dei tributi ai Daci comandati da Decebalo.
Sebbene Erodoto apprezzasse i Traci, ha detto che essi non sono uniti e che se fossero uniti sarebbero invincibili.
Tuttavia i popoli traco-geto-dacici avevano la stessa lingua, la stessa spiritualità e una vita comune su un territorio vasto dell’Europa antica ed era naturale che nella mente dei dotti e dei capi di questi popoli fosse presente l’idea di unità politica, nelle condizioni in cui contro di loro c’erano diverse provocazioni e aggressioni da parte di alcune forze imperiali o di vicini che desideravano installarsi in questo territorio. Colui che ha messo in opera questa idea di unità politica è stato il re Burebista.
Strabone nella sua opera “Geografia” afferma quanto segue: “Burebista in pochi anni ha favorito un grande impero e ha portato la maggior parte dei popoli vicini sotto il comando dei Geti ed era temuto anche dai Romani perché attraversava imbattuto il Danubio dalla Tracia fino alla Macedonia e fino all’Illiria”. In seguito a queste campagne Burebista ha unito in un unico regno una grande parte delle tribù daciche a Nord e a Sud del Danubio. L’unificazione politica dei popoli traco-geto-dacici realizzata da Burebista è stata una reazione al pericolo romano in crescita. Ma Burebista si è implicato nel conflitto tra Cesare e Pompeo, i due pretendenti per la guida di Roma, promettendo aiuto al secondo. Burebista viene assassinato nel 44 a.C., nello stesso anno come Cesare. I Traci continueranno a dominare la vita pubblica durante l’antichità.

    Oltre al celebre gladiatore Spartacus, molti Traci sono diventati imperatori di Roma, come Regalianus, Galerius, Maximian, Maximinus Daia, Leo I, Aureluis Valerius Vallens, Licinius, Costantino il Grande, Constantius III, Martianus, Justin I, Giustiniano I, Justin II, Phocas.

      Nei Paesi dell’Europa Orientale nei quali c’è stata una grande presenza tracica oggi si trovano culture quasi identiche: gli stessi balli, gli stessi canti, gli stessi costumi. Al tempo delle grandi migrazioni slave si sa cha la civiltà slava era inferiore rispetto a quella Europea e che nessuno dei popoli slavi ha mantenuto il folklore e i costumi. Ciò può essere facilmente dimostrato paragonando i costumi Est-europei con quelli delle zone da cui gli slavi provenivano, dalla Russia settentrionale.

      Un ultimo enigma dei Traci da risolvere è quello che riguarda la loro lingua. Si sa che Roma è stata fondata dai Traci che sono partiti da Troia dopo la guerra con i Greci. Lo storico romano Tito Livio nella sua opera “Ab urbe condita libri” dice che Enea, il genero del re troiano Priamo, dopo la caduta di Troia è partito insieme ad altri troiani via mare ed è arrivato nella penisola italica dove ha fondato Roma. Si sa che Troia e la regione attorno erano traciche e che i Troiani si sono stabiliti in una zona dell’Italia dove già si trovavano tribù traciche. Gli Etruschi, che più avanti avrebbero formato la base della popolazione di Roma, erano Traci migrati dalla Turchia occidentale, come dice Erodoto. Anche Hellanicus da Lesbos e Tucidide parlano degli Etruschi e dei Traci come di un unico ed uno stesso popolo, discendenti dei Pelasgi, il vecchio popolo sopra al quale si sono insediati i Greci quando sono migrati in Europa. Secondo Erodoto, Strabone, Polybius e altri storici antichi anche i Veneti erano Traci. Se Roma è stata fondata dai Traci di Troia insieme ai Traci che già vivevano in Italia, la conclusione è che la lingua dei traci è la precorritrice della lingua latina.
Questa conclusione è sostenuta da numerose fonti antiche. Lo storico romano Mareus Velleius Paterculus, il quale ha scritto riguardo alle guerre troiane, dice che in tutte le regioni orientali si parla una “lingua rumena”. Un secolo prima che la Dacia fosse conquistata dai Romani, il poeta romano Orazio scrive riguardo ai Daci e dice che parlavano una lingua che assomigliava a quella di Roma.
Possiamo ottenere più indizi riguardo alla lingua dei Traci studiando le guerre daco-romane. I Romani hanno occupato soltanto una piccola parte della Dacia e sono rimaste in Dacia soltanto due legioni permanenti e soltanto per 165 anni. Nonostante ciò, quando i Romani hanno abbandonato la Dacia, i Daci parlavano una lingua latina? In altre zone occupate e colonizzate dai Romani, come la Giudea, la Grecia e la Gran Bretagna, questo non è successo, anche se questi territori sono stati occupati per periodi molto più lunghiCiò porta a pensare che quando i Daci sono stati occupati dai Romani parlavano già una lingua latina.
Lo storico romano Dio Cassius dice riguardo a Traiano che era un “vero Traco” e che le guerre daco-romane erano guerre fratricide. Dio Cassius è stato citato a sua volta da Dio Chrysostom nelle sue relazioni riguardo alle guerre dei Daci, durante le quali quando Traiano parte per la Dacia dice che “torna nella terra dei suoi antenati”. Anche lo storico spagnolo Jesus Pardo dice che Traiano nel testamento lasciato a Licinio, il comandante che ha occupato Sarmizegetusa, dice che il suo nome proviene da “Trachianus” (= dalla Tracia) ed è nato in un villaggio di coloni traci, i quali parlavano la lingua dei Daci, una lingua sorella del latino parlato a Roma.
La linguistica offre altri indizi. I rumeni che oggi abitano sul territorio dell'antica Dacia sono gli unici al mondo che parlano una lingua che deriva dal latino classico. Tutte le altre lingue latine derivano dal latino volgare, dimostrando che la lingua di Roma derivava dalla lingua dei Daci. Soltanto un altro popolo parla una lingua che deriva dal latino classico ed è quello dei Vlahi dei Balcani (chiamati anche “aromeni”). Dopo secoli di assimilazione forzata da parte dei bulgari, greci e serbi essi parlano ancora un dialetto della lingua che oggi si parla nel territorio della Romania.
Nel XV secolo Antonio Bonfini scriveva: “Sebbene siano stanziati tra molti popoli barbari, la loro lingua non può essere estirpata. Essi lottano per lei come se lottassero per la propria vita”. La lingua dei Traci è stata la precorritrice della lingua latina. La lingua dei Vlahi/rumeni trae origine da questa lingua pre-latina. La lingua rumena e i suoi dialetti aromeni sono le uniche che traggono origine dalla lingua latina classica e non dalla lingua latina volgare, come il francese, l’italiano e lo spagnolo. La lingua rumena è la più unitaria d’Europa. A parte la zona abitata dai Vlahi balcanici, che sono stati divisi dai rumeni orientali dalla migrazione degli slavi, nel resto del territorio la lingua rumena non ha nessun dialetto.
Miceal Ledwith, l’ex consigliere di Papa Giovanni Paolo II, Decano del Collegio di San Pietro, lavorando per il Papa, ha avuto accesso alla libreria Vaticana che contiene anche i testi antichi ai quali gli storici non hanno accesso. Egli ha detto: “Naturalmente questo ha creato agitazione. Anche se si sa che il latino è la lingua ufficiale della Chiesa Cattolica, come anche la lingua dell’Impero Romano, e la lingua rumena è una lingua latina, poche persone sanno che la lingua rumena, o la sua precorritrice, deriva dal luogo da cui deriva la lingua latina, e non il contrario. In altre parole, la lingua rumena non è una lingua latina, piuttosto la lingua latina è una lingua rumena.”

     Oltre che per gli imperatori, il singolo gruppo per il quale il porfido è stato usato per costruire statue è un gruppo di prigionieri. Prigionieri daci, esattamente. Il porfido è una roccia bella e rara, il cui colore è il porpora, il colore della regalità. Il suo uso era monopolizzato dagli imperatori e solo essi avevano diritto di utilizzarla. La sconfitta dei Daci è stata importante per l’Impero Romano, che si trovava sotto la guida di Traiano e alla sua massima espansione territoriale.
I Daci erano non soltanto molto ricchi e buoni da derubare, ma anche combattenti da temere, il più grande avversario di Roma in quel periodo.
Probabilmente questa cosa, ma anche altre, dopo poco tempo dalla vittoria hanno portato Traiano a fare alcune cose senza precedenti nella storia dell’Impero. Nel 113 a Roma viene innalzata la celebre colonna che porta il suo nome, il più impressionante monumento artistico dell’antichità. Con un’altezza di m. 30, un diametro di quasi m. 4 e una superficie di bassorilievi sviluppata in m. 204, la colonna illustra la storia delle guerre daco-romane, con un’impressionante arte e attenzione per i dettagli. Oggi si trovano copie del sorprendente monumento in molti musei del mondo, compresa Bucarest. La cosa più incredibile fatta da Traiano è invece ciò che l’esperto di storia dell’arte Leonard Velcescu chiama il “programma iconografico dedicato ai Daci da parte dei Romani”. Nello studio della iconografia antica e nella sua opera “I Daci nella scultura romana” Leonard Velcescu identifica oltre 100 statue di Daci, che all’inizio si trovavano nel Foro di Traiano, oggi presenti in diversi musei del mondo. E’ evidente che nessun altro popolo sconfitto da Roma ha beneficiato di un’attenzione così grande da parte degli artisti romani. Esse esprimono forza e orgoglio e molte di esse sono più grandi di qualsiasi statua dell’Imperatore Traiano. Traiano e i Romani hanno ammirato il coraggio di un popolo che, secondo la dottrina Zalmoxiana, si credeva immortale e combatteva senza paura. Secondo Erodoto, i più coraggiosi e giusti dei Traci, i Daci, chiamati “Geti” dai Greci, erano un gruppo di tribù traciche situate principalmente nella Romania, Moldavia, Bulgaria, Serbia e Ungheria di oggi, ma si estendevano molto più lontano, fino in Polonia dove si trovava la città dacica di Setidava (oggi chiamata Konin).

     Molte delle più grandi città europee odierne, come Sofia o Budapest, inizialmente erano città daciche. I Traci a Nord e a Sud del Danubio, i Daci, erano gli antenati dei Romani ed essi riconoscevano questa cosa. Hesychius da Alessandria dice che il loro nome deriva dal termine frigio “daos” che significa “lupo”. Il nome della città dacica Daosdava in Mesia (l’odierna Serbia) significa “la città dei lupi”. Il lupo, l’unico animale della zona che non può essere addomesticato, era il simbolo dei Daci.

     Quasi tutta l’Europa Orientale era abitata da Traci che parlavano la lingua latina. E’ stato così anche se queste zone sono state chiamate con diversi nomi, in base alla tribù migratoria che le conquistava. Durante il corso della storia, queste popolazioni che parlavano la lingua latina sono state chiamate con due nomi: Vlahi (dagli stranieri) e Rumeni (da loro). Per entrambi ci sono diverse spiegazioni. “Vlah” è un termine che nel passato comprendeva tutte le popolazioni dell’Europa orientale che parlavano la lingua latina, discendenti degli antichi Traci. Queste popolazioni si davano il nome di “romeni”, “aromeni”, “rumeni” dal nome “rumeni”.
Molte fonti confermano che nel Medioevo i Vlahi occupavano ancora grandi parti dell’Europa Orientale, come la “Descriptio Europae Orientalis” oppure la “Cronaca di Nestor” che dice che quando gli ungheresi sono arrivati in Europa, in Romania hanno trovato i rumeni. Oppure le opere di Beniamino di Tudela, il quale scrive che nel 1150 non c’era nessuna differenza tra i Vlahi a Sud del Danubio e i Vlahi a Nord del Danubio.
La popolazione tracica latina è stata spezzata a metà dalla migrazione di slavi. Per questo motivo i Vlahi che vivono in Paesi come Grecia e Macedonia hanno un dialetto un po’ differente rispetto al dialetto dei Vlahi che vivono in Paesi come Serbia e Moldova. Una cosa interessante che riguarda gli aromeni dei Balcani è che conservano ancora il dracon dacico come loro simbolo.

      I Vlahi si sono chiamati da sempre “rumeni” oppure con altri nomi simili. Esistono due motivi per i quali i Traci hanno iniziato a chiamarsi “rumeni”. Il primo è che nel 212 l’Imperatore Caracalla ha dato la cittadinanza romana a tutti coloro che vivevano nell’Impero Romano, tranne agli schiavi. Quindi, le persone erano rumeni o schiavi. Il secondo è che l’Impero Bizantino, il quale aveva una grande influenza su tutte le zone occupate dai Vlahi, per un lungo periodo si è chiamato anche “Romania”, dopo che in precedenza era stato chiamato “Basileia ton Romanion” dai Greci, i quali erano la maggioranza nell’amministrazione di Costantinopoli, mentre la parte orientale era abitata in maggioranza da popolazioni che parlavano il latino.
L’identità nazionale dei Vlahi era talmente radicata che si giudicavano secondo le proprie leggi antiche, chiamate “jus valachicum”, e non secondo le leggi dei diversi re che governavano quei territori.
Molti insediamenti confermano cha la popolazione locale non era rimasta romanizzata dopo la ritirata dei Romani, come le popolazioni di Archiud, Abreu e Sarmizegetusa oppure i cimiteri di Soporu da Campie, Lecinta de Mures, Moresti, Brecu. In una sola provincia (Mures) sono stati trovati quasi 900 insediamenti che coprono l’intero periodo tra la riturata dei Romani e l’arrivo delle tribù migratorie. Quindi, quella che viene chiamata “storia mancante” dei rumeni, tra la ritirata romana e la fine dell’occupazione della Transilvania da parte degli ungheresi nel XIII secolo, non manca affatto.
Nel V secolo Moses di Chorene dice che esiste una terra dei Vlahi a Nord dei Bulgari; una cronaca bizantina del 586 menziona una frase proto-rumena parlata nella zona; nel VI secolo Evagrius Scholasticus dice che tra il Dnepr e il Nistru si trovavano ancora dei nativi; nel VII secolo nella “Geografia universale” Anania Shirakatsi dice che attorno al Danubio e ai Carpazi vivono i “Balac” (Vlahi); nel 602 nel Strategikon di Maurice si dice che alcuni rumeni a Nord del Danubio si sono rifugiati a Bisanzio; nel 780 un testo scritto e conservato al monastero Kastamonitu sul monte Athos dice che i Vlahi vivono sia a Nord e sia a Sud del Danubio; nel 898 la cronaca di Nestor parla dei Vlahi che vivevano nella Romania odierna; il “Gesta Hungarorum” di Anonymous dice che nel IX secolo, quando gli ungheresi arrivarono nella zona, i rumeni erano organizzati in piccoli Stati, come quello transilvano del vlaho “Gelu” e Johannes de Thurocz e Simon de Keza confermano; nel X secolo i Vlahi della Macedonia e della Grecia odierne sono menzionati in una lettera dell’Imperatore Bizantino Basile; nel 1050 il geografo persiano Abu Said Gardezi scrive che i Vlahi vivevano nell’odierna Romania; nell’XI secolo lo storico bizantino Kekaumenos dice che i Vlahi occupavano l’odierna Bulgaria ed erano i discendenti dei Daci di Decebalo; nell’XI secolo la storica bizantina Anna Komnena menziona capi e guide politiche dei Vlahi a Nord e a Sud del Danubio; nel XII secolo l’Imperatore tedesco Federico Barbarossa menziona una terra dei Vlahi al Nord del Danubio; nel XII secolo Gaufridus Viterbiensis chiama la “Dacia” conquistata dai Romani “la terra dei Blahi” (Gesta Henrici); nel XIII secolo Simon de Keza dice che i Vlahi sono i nativi della Pannonia; nel 1247 il “Diploma Cavalierilor Ioaniti” dice che i Vlahi dell’Oltenia e del Banato erano organizzati in piccoli stati; tra l’VIII e il XII secolo il Vescovo Lodomerus di Esztergom e il cronista Rogerius menzionano gli “stati dei Vlahi” (Universitas Valachorun) esistenti in Transilvania e Banato; XVI secolo: Ascanio Centario dice che le montagne della Transilvania sono tutte abitate dai rumeni.
In questo periodo storico il più importante regno costruito dai Vlahi è quello dei fratelli Ansen, Pietro e Giovanni. Essi hanno unito i Vlahi e gli slavi a Nord e a Sud del Danubio e hanno costruito un impero potente che tra il XII e il XIV secolo rivaleggiava con l’Impero Bizantino. Il cronista Niketas Choniates dice che essi erano Vlahi dello stesso popolo dei Vlahi della Mesia. I cronisti dell’Europa occidentale Geoffroy de Villerhardouin, Henri de Vallencienes e Robert de Clary, confermano che essi erano Vlahi.
Durante tutto il corso della propria storia, i Vlahi della Romania hanno conservato la loro identità di discendenti dei Daci. Molte persone illustri del Medioevo e del Rinascimento confermano la discendenza dacica dei Vlahi: Flavio Biondo, Papa Pio II, Poggio Bracciolini, Raffaello Maffei, Nicolaus Olahus, Antonio Bonfini, Christina Schause, Georg Reichersdorffer, Laurentius Toppeltinus. A Deva nella chiesa Riformata si trova un’iscrizione funeraria che attualmente è incassata nel muro interno, dedicata da Dominic Dobo, Principe di Transilvania nel 1540, quando seppellisce la moglie Caterina Dobo e su di essa scrive che egli rimane per sempre inconsolabile, capo dei Daci e dei Geti dei monti.
Il cronista polacco Ioachim Bielski conferma che il motivo per il quale durante il basso Medioevo i rumeni sono stati menzionati meno rispetto ad altri popoli e che hanno vissuto in pace con tutti i popoli e sono stati accoglienti verso i popoli nuovi arrivati e quindi gli storici non hanno avuto nessun motivo per scrivere riguardo a loro.

       Dopo gli alfabeti latino e greco, e molti scritti runici, l’alfabeto slavo è tra quelli più antichi usati in Romania. E’ stato introdotto e mantenuto dalla Chiesa Ortodossa, che ha cercato da sempre di tenere i rumeni lontani dall’influenza Vaticana. Dopo l’invenzione della stampa, l’alfabeto latino ha iniziato ad essere usato sempre di più, fino a quando nel XIX secolo l’alfabeto slavo è stato completamente abbandonato.


Fonte: Thraxus Ares.

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